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Donne vulcaniche: così sull’Etna l’impresa è al femminile.

Competenze e determinazione nel superare barriere e stereotipi vecchi e nuovi: le imprenditrici dell’Etna ci raccontano le loro storie.

Di Michele Razzetti

 

La Sicilia, secondo gli stessi siciliani, non è una «semplice» regione, ma un mosaico di territori che portano con sé attitudini e tratti culturali specifici. Fra questi, quello dell’Etna è senza dubbio uno dei più conosciuti; lì, dalle pendici, dove sorge la frizzante Catania, fino al cratere della «muntagna», regna un ecosistema unico che in qualche modo ha plasmato lo spirito delle sue abitanti. Chi lavora in questo territorio lo sa bene: l’Etna dà e l’Etna talvolta chiede, o per lo meno complica un po’ la quotidianità. Ma i paesi etnei rimangono un gioiello del nostro Paese nei quali sono nate alcune storie imprenditoriali al femminile tutt’altro che banali e capaci di scalfire lo stereotipo di un sud Italia dove l’imprenditoria per le donne rimane un miraggio.

Già, perché anche secondo Federica Eccel, consigliera – originaria di Trento – dell’Associazione Strada del Vino dell’Etna (di cui, per inciso, sono presidente e direttrice due donne), per una donna che oggi in Sicilia decide di fare impresa non ci sono «muri invalicabili, né tantomeno l’impossibilità di affermarsi, ferme restando le prerogative basilari necessarie ad avviare un’attività, sia per un uomo che per una donna. Piuttosto parrebbe a volte riconoscere le stesse dinamiche che imperversano a tutte le latitudini»; fa riferimento a temi molto noti, come la ritrosia nel riconoscere il livello di preparazione tecnica per competenze tradizionalmente accostate agli uomini e la mancanza di un medesimo trattamento economico.

Ma, ecco, le donne catanesi, cresciute in un territorio fatto di alti e bassi, non sono di quelle che si lasciano scoraggiare da un contesto in salita. E per continuare nel solco delle metafore vulcaniche, Eccel aggiunge che «assomigliano, nella maggior parte dei casi, alla potenza che scorre nella pancia di questa terra. Sono acqua e fuoco: intelligentemente impertinenti, garbatamente irriverenti, ruffianamente capaci». Noi siamo andati a conoscere cinque imprenditrici di questo territorio così magico, spaziando dal mondo delle bevande a quello dell’abbigliamento, passando per il settore alberghiero.

Il bacio amaro del vulcano

È lo slogan, il payoff tecnicamente, del prodotto che segna una svolta nella vita di Agata e Rita. Maestra di cucina la prima, scrittrice e giornalista la seconda, a un certo punto del loro percorso intrecciano la loro passione per la botanica dell’Etna. Ne nasce un amaro, Indigeno, che affonda le sue radici in questo territorio e che «trae la sua linfa vitale da piacevoli escursioni sull’Etna, dalle storie dei contadini, capaci di raccontare con parole semplici la campagna siciliana selvaggia, dai consigli di agronomi esperti, dall’eco di una cultura ricca e variegata. Ma soprattutto da una sintonia profonda con la Natura».

Già, una natura dominata da un vulcano con «la sua presenza totemica. Ogni giorno osserviamo la nostra “muntagna” un po’ come fanno i marinai con il mare. Per noi è una grande madre che dà alle sue creature un imprinting speciale, ma anche una matrigna dai colori scuri che a volte sbuffa, erutta fuoco e terra nera, tagliente. Ne siamo orgogliosi perché chi vive in una natura così forte, lo è, a sua volta».

Agata e Rita con Indigeno hanno fatto il loro debutto in un settore, quello degli spirit, notoriamente maschile. Una scelta che ha fatto sì che all’inizio venissero guardate un po’ con sospetto. Non si sono fatte di certo scoraggiare dalle perplessità di chi non è riuscito a comprendere immediatamente le potenzialità della loro avventura, consapevoli di essere donne etnee, «donne “vulcaniche” che hanno superato le contraddizioni stridenti di una terra come la Sicilia, avanzata e geniale e al contempo asfittica e difficile. Mogli o figlie che hanno apportato freschezza ad aziende familiari dando loro una nuova identità, e altre, più ardite, che sono riuscite a intraprendere o a inventarsi un lavoro, magari alla luce di nuove competenze acquisite altrove».

Un tesoro locale dal valore globale

È un po’ questo il riassunto che Enrica Arena, CEO e cofondatrice di Orange Fiber, dà al territorio dell’Etna e a Catania, che per lei è «uno snodo di una rete più grande di persone ed aziende». La sua realtà si basa su un’idea in piena sintonia con la circolarità dei prodotti che il pianeta ci chiede a gran voce: produrre tessuti grazie ai sottoprodotti – come le bucce – dell’industria di trasformazione degli agrumi. Un’intuizione che ha sedotto e convinto realtà del calibro di Salvatore Ferragamo, H&M e lo storico marchio di sartoria napoletana E.Marinella.  A dicembre 2021, inoltre, Orange Fiber ha vinto la «Vogue Yoox Challenge» 2021, iniziativa nata con l’obiettivo di individuare e supportare progetti per reinventare la moda e il design nel rispetto del pianeta che ci ospita.

Quest’impresa innovativa non ha saputo valorizzare, però, solo le bucce degli agrumi siciliani, ma anche «le preziose risorse e i talenti di questa terra e creato sinergie con realtà di eccellenza a livello nazionale ed internazionale». Arena ci racconta che sull’Etna sono attive diverse startup guidate da donne, caratterizzate da esperienze e competenze eterogenee. «C’è chi ha scelto di applicare alla sua terra modelli di business management studiati ed esercitati precedentemente in esperienze all’estero per creare valore nella propria terra di origine, chi – nel settore turistico ad esempio – da qui ha creato un network forte a livello internazionale, chi è riuscita a far sopravvivere il saper fare artigiano della nostra terra attraverso metodi e tecnologie innovative e chi ha creato progetti di business digitale ad alto impatto economico a livello nazionale».

I semi di un turismo di livello e internazionale

Sono quelli che seminano realtà come Zash, struttura ricettiva di lusso – con tanto di ristorante stellato, guidato dal giovane (e interessante) Giuseppe Raciti – immersa nella vegetazione alle pendici dell’Etna, a pochi chilometri dal mare. Tutto a Zash sembra progettato con grande attenzione; e il merito è dell’architetta Carla Maugeri e della sua famiglia che ha ideato questa struttura ricettiva, la cui clientela è prevalentemente costituita da stranieri con un buon potere di spesa. Rappresenta uno dei cardini su cui poggia un’offerta che vuole rendere appetibile queste terre anche per un turismo di livello che qui, grazie anche a iniziative come «Experimenta Siciliae» che mira a promuovere il turismo esperienziale sulla riviera jonica etnea, di sicuro non ha modo di annoiarsi.

E fra le esperienze che meritano in questa zona ci sono senza dubbio quelle legate al vino; sì perché le terre dell’Etna si sono rivelate ideali per la viticoltura, e non a caso qui si trovano tenute di realtà come Donnafugata, Tasca d’Almerita e Planeta, che sono fra quelle che più hanno contribuito all’immagine internazionale dei vini siciliani. Qui l’enoturismo è però incoraggiato anche da realtà come Cottanera che, oltre a produrre vino, attirano estimatori da mezzo mondo.

Anche il mondo del vino è tradizionalmente maschile, ma Mariangela Cambria, che oggi guida la cantina insieme ai fratelli, sottolinea in realtà il sostegno avuto dai suoi colleghi maschi e dalla famiglia, dove le «figure femminili sono molto forti e intraprendenti. Mio padre è stato il primo a scommettere su di me, molto tempo fa, e da lì è iniziato il mio percorso in cantina a fianco dei miei fratelli con cui abbiamo un rapporto di fiducia e scambio costante. È chiaro poi che il contesto in cui ci muoviamo non è semplice e fare impresa al femminile sulla nostra isola è una sfida, ma del resto cosa c’è di facile nella vita? A me le sfide piacciono proprio perché mi danno la possibilità di creare nuovi orizzonti».

 

(fonte: Vanity Fair, 16/02/22).